Dal punto di vista del pesci.
I nitrati sono dei composti formati da azoto e ossigeno.
Sono emessi dagli escrementi degli animali.
Quando questi vengono sparsi nei campi i nitrati filtrano in profondità, penetrano le falde acquifere e da queste finiscono nei corsi d’acqua.
Una volta giunti in mare, trattandosi di composti fertilizzanti, provocano una esplosione nella crescita delle alghe; quando queste muoiono si assiste ad una forte diminuzione dell’ossigeno disciolto causata dalla forte attività dei batteri che compiono i processi di putrefazione e fermentazione. Allora tutti gli altri organismi consumatori di ossigeno muoiono (i poveri pesci). Poi muoiono i batteri aerobici (che consumano ossigeno) e subentrano batteri anaerobici nei processi fermentativi: questi sviluppano sostanze tossiche a seguito del loro metabolismo e rendono l’ambiente acquatico in cui avviene il processo torbido, maleodorante ed inadatto ad ospitare qualsiasi forma di vita.
Il problema dell’eutrofizzazione è stato riconosciuto più di venti anni fa dalla Unione Europea che ha cercato di porre limite a questo fenomeno emanando la Direttiva Comunitaria 91/676/CEE (Direttiva Nitrati) nel 1991. Questa imponeva un limite alla quantità di azoto che era possibile spandere nel terreno: non più di 170 kg/ha nelle zone cosiddette vulnerabili.
L’Italia, sempre sensibile alla tutela del proprio territorio, l’ha recepita in fretta, solo 8 anni dopo (D.Lgs. 152 dell 11 maggio 1999).
Inoltre la solita Italia, con la solita sensibilità e lungimiranza, ha sempre fatto molto poco per far sì che questa legge venisse rispettata, cosicchè i principali inquinatori, anziché rispettarla e anzi, trasformare una difficoltà in opportunità (e noi di EquiWatt sapremmo bene come fare) hanno pensato di disinteressarsene.
Certo si correva il rischio di prendere qualche multa. Per fortuna ci ha pensato il ministro Romano: se fino a ieri il limite di azoto era 170 kg/ha, da oggi è passato a 250 kg/ha.
Sostiene il ministro di aver raggiunto “un risultato molto importante per la nostra zootecnia”; anzi, non si fermerà qui visto che “ci siamo mossi per avviare [...] una rigorosa analisi scientifica [...] propedeutica ad una auspicata revisione delle aree vulnerabili, la cui delimitazione oggi risulta particolarmente penalizzante per il comparto zootecnico”.
Bene. Ha racimolato il voto di qualcuno che negli ultimi 12 anni ha raggirato la legge. E poi, avrà pensato, c’è chi può andare al mare alle Maldive, agli altri spiegheremo che l’Italia che produce, che l’Italia del fare, non se ne faceva poi tanto dei poveri pesci che la abitavano.
Mah.
Io mi sento un povero pesce in un paese inadatto alla vita.
E mi sento asfissiato dalle mucillagini di questo modo di pensare che bada sempre a non cambiare lo status quo, che non vede mai una opportunità nel rispetto per l’ambiente e per gli altri in senso più ampio.
E questo modo di pensare è alimentato e fatto crescere a dismisura da questi provvedimenti e da questo modo di governare, cosi come le alghe vengono alimentate dai nitrati. E infine, a cosa vorremo paragonare chi queste leggi emette?
P.S.: Noi, una mezza idea di come fare a trasformare questo problema in opportunità ce l’avremmo. È da un anno che ricerchiamo finanziamenti per portare avanti le sperimentazioni. Vi terremo aggiornati.